lunedì 30 aprile 2007

da Kaa a Kaa.....

Waooo!!!

Che emozione.... :D

E' incredibile...quando ho letto che Simone, era il Kaa del mio Kaa (Stefano), scusate il gioco di parole, ho iniziato a capire quante persone ci sono (o sono state) dietro il nostro gruppo....
Quanta storia...quante vite...

Sono d'accordo con Stefano e rinnovo il suo invito ad incontrarci tutti il 20 maggio...

Ciao a tutti...

Ci aggiorniamo presto.. :D

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Questo blog mi imbarazza… perché mi riporta ad anni ormai lontani (oltre 25 anni fa) quando per me l’esperienza scout era una delle tante di un ragazzo che cresce e si confronta con un se diverso ogni giorno, con capacità e limiti che scopre quasi con sorpresa
Intanto cos’era il Roma 12…
Un gruppo di ragazzini con dietro un papà triste cui era toccata una delle sventure più grandi: veder morire suo figlio: Mauro, di lui bisogna parlare perché senza la sua scomparsa il Roma 12 non sarebbe mai nato, era un ragazzo tranquillo un po’ fuori dagli schemi della fine degli anni ’70, e conoscendolo non poteva essere assimilato al gruppo dei fasci o delle zecche… credeva in valori semplici, molti dei quali, oltre che dalla famiglia appresi, nel mondo scout. Il suo papà forse nel gettarsi nell’avventura dello scoutismo cercava di dare la possibilità ad altri ragazzi di incontrare quei valori che suo figlio aveva solo intravisto.
Il primo capo del gruppo era un ragazzo che con molto entusiasmo aveva un’idea un po’ anarchica dello scoutismo, proveniva transfuga dal Roma 5 FSE, e si trovò un compagno d’avventura calmo ma altrettanto individualista. Questi due iniziarono con fondare il Reparto, e che reparto…
Perché ora dobbiamo parlare dei ragazzi ovvero anche di me.
Noi eravamo scout, tali ci sentivamo e guardando indietro in qualche misura lo eravamo molto di più di tanti anche se a guardarci sembravamo una banda qualsiasi di ragazzini che fra i vari campetti del quartiere avevano scelto quello di Stella Maris.
Quasi tutti eravamo reduci dalla esperienza dell’Ostia I che in uno dei suoi anni di crisi aveva momentaneamente sospeso le attività e che solo qualche tempo dopo avrebbe riaperto, non negli storici locali di Via Passeroni ma a Via dei Promontori… ma noi volevamo essere scout ed allora quei due nuovi capi ci fecero subito una bella impressione perché ci permettevano ancora di avere un luogo nostro, dove ognuno si sentiva protagonista… era un reparto senza tende, senza uniformi ma aveva i ragazzi… qualche anno dopo le nostre squadriglie avrebbero vinto S.Giorgi, partecipato ad eventi internazionali ma allora no… si andava alle uscite di distretto con tende prestate piene di buchi con uniformi approssimative: qualcuno riproponeva la vecchia camicia grigia dell’Ostia I, cinte ASCI, distintivi appesi alla bella e meglio sul maglione dove ciascun blu era rigorosamente diverso da quello del fratello che gli stava vicino. Si eravamo fratelli, di una famiglia nata in quei giorni dove non c’era un blasone una tradizione, nulla… c’erano due capi e un numero imprecisato di ragazzini… eh si, non sapevamo nemmeno quanti eravamo, le prime settimane se non i primi mesi c’era chi alternava le riunioni una al Roma 12 una all’Ostia I senza che nessuno trovasse la cosa scandalosa. Ricordo le prime uscite senza fazzolettone… a noi la cosa dava fastidio, la vivevamo come una piccola punizione, avevamo gia promesso! Ma ora c’era un fazzolettone nuovo da conquistare un’avventura nuova da vivere. Ricordo che il giglio giallo mi sembrava un po’ troppo piccolo rispetto alla croce rossa che lo conteneva ma alla fine tutti guadagnammo la fiducia dei capi e nuovamente il diritto di dirci scout…
A noi reduci dall’esperienza AGESCI cominciarono ad aggiungersi altri ragazzi tutti però con in comune la stessa origine: la voglia di essere scout che prescindeva dalle pressioni dei genitori che spesso si rendevano conto che il figlio era entrato nel Gruppo solo perché dopo aver esaudito strane richieste (acquisto di una camicia usata kaki, pantaloni di velluto blu…) si ritrovavano a partecipare ad incontri con due ragazzi più grandi che gli parlavano della possibilità di fare uscite, campi. Ma strani lo rimanemmo per un bel po’ anche perché sopperivamo con estrema fantasia alle croniche mancanze di materiale: per anni i nostri alpenstock erano assolutamente irregolari fatti in modo artigianale con puntali rimediati, più alti del normale e soprattutto di una sezione improbabile ma per iniziare bastò un po’ di fantasia

matteo@photomood.com ha detto...

Ciao Simone,
se mi fai avere un tuo contatto e-mail ti inserisco tra i relatori del blog: così potrai scrivere direttamente i post (i messaggi principali) e non solo i commenti che rimangono un po' nascosti.... :)

Ciao

Matteo